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A high resolution image of a pencil eraser that is about to erase the Italian peninsula from a 100 euro bill.

Fatto realmente accaduto.

Mesi addietro si presenta in studio Filippo, il mio caro vecchio amico “Pippo”; abbiamo frequentato le scuole elementari e medie insieme e tirato calci al pallone in oratorio, ormai quasi mezzo secolo fa… Poi le nostre strade si sono divise, erano almeno vent’anni che non lo vedevo e che non lo sentivo.

Filippo è entrato in azienda subito dopo la laurea ed il servizio militare.

Una classica azienda patronale all’italiana, nata dall’intuizione di un onest’uomo che “si è fatto tutto da solo”, già alla terza generazione, un’impresa fiorente, con centinaia di dipendenti, che esporta in tutto il mondo. Lo stereotipo del sogno italiano.

Con gli anni Filippo è diventato un manager di prim’ordine, con un’ottima posizione sociale, moglie, figli e, soprattutto, con uno stipendio di tutto rispetto.

«Vedi», mi dice, «i nipoti del vecchio due anni fa hanno venduto l’azienda ad un gruppo multinazionale asiatico» (evito coscientemente di citare la nazionalità) «gli “asiatici” hanno smembrato l’azienda vendendola a pezzi, hanno delocalizzato la produzione  in est Europa e proprio ieri mi hanno mandato questa raccomandata intimandomi il licenziamento al termine del periodo di preavviso. L’hanno già fatto con una ventina di colleghi, ma io non me l’aspettavo. Sono preoccupato, mi mancano due anni per andare in pensione e non so cosa fare, tu puoi aiutarmi?» Insomma, un deja vu! Purtroppo.

Leggo la scarna lettera e gli chiedo se avesse contattato l’amministratore delegato.

«Ma si, certo!» afferma. «Sandro, il CEO, è un amico, giochiamo a tennis ogni settimana. Lavora in azienda anche lui da almeno vent’anni: era prostrato ma ha confessato la sua incompetenza, sono ordini che arrivano dall’alto, da oriente … e lui non può far altro che obbedire.»

Filippo mi passa un foglio di appunti: vi è indicato il nome ed il numero di telefono di un importante studio legale di Milano. «Sono loro che gestiscono “gli esuberi”» – aggiunge – «ho già parlato con l’avvocato Trocci Pomponi (nome di fantasia, ndr), mi ha consigliato di farmi assistere da un consulente di mia fiducia, di preparare una richiesta di buonuscita e di fissare un appuntamento presso il loro studio. Per questo mi sono rivolto a te!»

Nei giorni successivi contatto lo studio legale, dopo aver preparato una strategia e un’infinità di conteggi per placare l’ansia del mio amico Pippo. Fissiamo velocemente un appuntamento.

Ci ritroviamo, Filippo ed io, in centro a Milano. Entriamo nello stabile signorile che è praticamente tutto occupato dal prestigioso studio legale; nelle stanze si respira opulenza: stucchi, lampadari in cristallo, quadri antichi alle pareti, mobili d’epoca. Questo mette un po’ a disagio Filippo che mi confessa: «Mi tremano le gambe, mi sembra di essere entrato nel tritacarne, ci schiacceranno!»

Pochi minuti dopo (che a Filippo saranno sembrati un’eternità) entriamo nel sontuoso ufficio del gran capo avv. prof. Bernardo Trocci Pomponi, cultore del diritto, uomo sopravvissuto a mille battaglie in tutti i tribunali della Repubblica, un professionista di prim’ordine da cui promanano energia e determinazione.

Nonostante ciò, l’avvocato ci accoglie calorosamente, cercando di metterci a nostro agio; è presente anche Sandro, l’amministratore delegato della società, perché – come sottolinea il padrone di casa – desiderano concludere la trattativa in quella seduta.

L’avvocato chiede se abbiamo predisposto una richiesta economica, come concordato telefonicamente.

Approccio il piano A, quello che prevede una buonuscita pari a 48 mesi di retribuzione oltre al pagamento del T.F.R. – quel piano è talmente “ricco” da lasciare perplesso il nostro Filippo che ha affermato: «Ma scherzi? Non me li daranno mai! Se avanziamo questa richiesta ci cacciano fuori a pedate, stiamo attenti a non bruciare le nostre chanches.»

Letto il nostro prospetto, l’avvocato alza il telefono e chiama la segretaria. Neppure il tempo di riattaccare e la solerte ed elegantissima impiegata è davanti alla sua scrivania. «Signorina, prepari un accordo tra la nostra cliente ed il signor Filippo, inserendo gli importi indicati in questo prospetto.»

Ma, come? Accettano tutto, così, senza discussione, senza trattativa, penso. Filippo strabuzza gli occhi e quasi non riesce a respirare.

L’avvocato si alza dalla poltrona ed annuncia che, mentre la segretaria prepara l’atto, andrà a fumare una sigaretta. Lo seguo.

Filippo e Sandro rimangono seduti nelle loro sedie a parlare amabilmente; dopotutto sono amici e colleghi.

Usciti sul balcone non riesco a tenere a freno la mia curiosità, temendo addirittura di aver chiesto poco. «Avvocato» gli chiedo «sono felice per la veloce conclusione della trattativa, ma come mai, non ha neppure tentato una controfferta?».

L’avvocato percepisce il mio timore e mi risponde: «Non tema, Lei ha avanzato una richiesta molto alta, e sotto questo aspetto ha compiuto egregiamente l’interesse del suo cliente

«Vede», prosegue, «in un altro frangente, ed in altri tempi, avrei combattuto di spada e di fioretto ed avrei come minimo dimezzato le sue richieste: dopotutto il suo cliente andrà in pensione tra due anni… Ma oggi non combatto, primo perché a breve perderò questo cliente (l’azienda) che seguo da anni e che mi procura un discreto fatturato, secondo perché mi sono scoperto nazionalista.»

«Vede il dottor Sandro? Tra pochi minuti firmerà l’accordo per il licenziamento del suo cliente, ma non sa che il prossimo licenziato sarà proprio lui, poi non rimarrà più nessuno…»

«Gli “asiatici” mi hanno affidato un compito assai amaro: vogliono uscire dall’Italia, a tutti i costi!»

 

Amara conclusione … un altro pezzo di imprenditoria italiana che scompare!

 

 

Walter Flavio Camillo

 

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Studio Camillo